Una volta era chiamata “la città delle fiabe e delle chiese”, ed in epoca romana era meglio conosciuta con il nome di Lentia. Oggi Linz, ridente cittadina dell’Alta Austria, oltre a costituire un valido centro industriale, commerciale e con estesi impianti portuali nel centro d’Europa, è la città ideale: bellissima, visivamente colorata, dal design cool, culturalmente viva, a misura d’uomo e d’ambiente.
Dichiarata Capitale Europea della Cultura 2009, Linz è infatti tra le città europee ecologicamente più avanzate, e rappresenta uno splendido esempio di bioarchitettura orientata alla sostenibilità ecologica e al risparmio energetico su larga scala. Coniugando etica ed estetica, design, funzionalità e low cost, Linz è interamente costruita secondo i più moderni criteri dell’architettura sostenibile a basso costo e consumo cavalcando l’onda lunga di quegli illustri, analoghi precedenti che hanno già fatto “caso” a livello europeo e non solo: basti pensare, tanto per cominciare, al quartiere a emissioni zero di Londra, il BedZed (Beddington Zero Emission Development), costruito a soli venti minuti dalla City; o alla cittadina svedese di Goteborg, una delle più raggianti dimostrazioni su quale dovrebbe essere la direzione da prendere circa la sostenibilità energetica su gamma cittadina; oppure anche a Friburgo e ai suoi quartieri “passivi” (ma che in molti sensi sono anche attivi) di Vauban e Riesefeld. Questi appena menzionati, sono tutti casi emblematici di una nuova concezione del modo di abitare cittadino e di una rinnovata e più accorta progettazione urbanistica, uniti entrambi dal file rouge del rispetto per l’ambiente che riesce ad abbracciare istituzioni pubbliche e comunità.
Ma come ha fatto Linz a venir fuori così com’è? Qual’è stata la genesi di un progetto così ecocompatibile? Tutto cominciò nel 1992, quando al famoso architetto urbanista Rolad Reiner fu chiesto di realizzare il piano regionale e il master plan per un nuovo quartiere residenziale che sarebbe dovuto essere capace di inglobare all’interno del suo perimetro tra le 5000 e le 6000 abitazioni, insieme a tutte le varie infrastrutture necessarie in un comune quartiere. La necessità di una simile opera abitativa era data dall’enorme richiesta di case che proprio in quel periodo stava divenendo sempre più impellente: a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 erano circa 12000 le persone in cerca di un appartamento nella cittadina austriaca del nord. Inoltre erano ben 178.000 le persone che lavoravano a Linz ma erano costrette a vivere fuori città per carenza di strutture abitative.
A trasformare il problema case in una vera e propria emergenza, concorse poi anche la presa di coscienza di un drammatico disastro ecologico, problema questo che necessitava di esser preso in mano il prima possibile. E così nacque Solar City: un progetto abitativo, alternativo e innovativo diverso da tutti, atto a promuovere l’eco-sostenibilità ambientale su larga scala e l’abitazione a basso costo, realizzato per risolvere due emergenze: quella abitativa e quella ambientale.
A tale scopo, il consiglio municipale della città un anno dopo, nel ’93, stanziò dei fondi con il contributo e la collaborazione della Comunità Europea, per l’attuazione di studi e test energetici da effettuare nel corso della costruzione delle case e scelse Pichling, una regione a 7 km a sud di Linz il cui territorio è caratterizzato dalla presenza di piccoli laghi, come area idonea per la costruzione dell’impianto urbanistico.
Grandi nomi dell’urbanistica mondiale come Thomas Herzog, architetto tedesco da più di trent’anni impegnato nell’architettura sostenibile, Norman Foster, Renzo Piano, Richard Rogers e Norman Kaiser, specializzato in ingegneria tecnologica ambientale, furono chiamati a partecipare al progetto e furono tutti raggruppati sotto il nome di READ, acronimo di Renewable Energies in Architecture and Design il cui obiettivo era quello di promuovere ed elevare criteri e metodi di costruzione a basso impatto ambientale a livello internazionale.
Ciò fu possibile in particolare grazie ai 600.000 euro che il XII Direttorato Generale dell’Unione Europea per la Ricerca e lo Sviluppo mise a disposizione del progetto. Infatti già nel 1995 ebbe inizio la progettazione architettonica e nel 2001 finalmente partirono i lavori.
Vivace, colorata, e soprattutto, chi l’avrebbe mai detto, solare, oggi Solar City è in grado di ospitare ben 25.000 persone anche se al momento ad abitarvi sono solo in 3.500 circa. Ma passiamo ora agli aspetti più pratici e tecnici, e dunque anche tecnologici, che rendono Solar City unica nel suo genere. Essendo l’intero complesso stato pensato in vista non solo di una migliore qualità abitativa, ma anche di un maggior risparmio energetico, ogni edificio è orientato (in base alla funzione per la quale è predisposto ovviamente) ai raggi del sole secondo i più moderni principi della bioclimatica, la quale include l’uso sia attivo sia passivo dell’energia solare e non esclude affatto ogni utilizzo possibile di energia rinnovabile.
Così gli edifici a scopo abitativo saranno orientati a sud mentre gli altri, come ad esempio gli esercizi commerciali, situati nel centro del quartiere, che non necessitano di particolari quantità di energia solare o comunque ne hanno bisogno solo in particolari ore della giornata, saranno invece rivolti a nord. Le costruzioni sono compatte in modo da trattenere la maggior quantità di calore ricavato dall’irradiazione solare, avvenuta durante il dì, mentre la loro altezza e vicinanza è pensata in modo da favorirne l’insolazione.
Questa, elemento essenziale per la produzione di energia e per il riscaldamento degli ambienti domestici, a sua volta favorito da ampie vetrate poste sia sulla facciata che sul tetto, le quali, d’inverno, funzionano da serra solare che accumula calore, nei mesi estivi invece, favoriscono le correnti d’aria ascensionali che rinfrescano e arieggiano l’ambiente. Il ricircolo dell’aria poi si deve a delle sofisticate centraline sotterranee che riscaldano o raffreddano l’aria in maniera del tutto “naturale”, ossia la carpiscono dall’esterno, la riscaldano mediante l’energia solare e la mandano negli ambienti da riscaldare prelevando poi l’aria dall’interno e buttarla all’esterno, a seconda delle necessità.
Insomma, risulta evidente che, accanto a una mentalità ecologista e di ampio raggio per il bene della Terra, anche la tecnologia faccia il suo. Ovvero che costituisca un mezzo attraverso il quale esplicare, rendere possibile un progetto tanto ambizioso e sostenibile. A cominciare, ad esempio, dal sistema che separa l’acqua di scarico delle docce, delle lavastoviglie o dei lavandini, per poi depurarla e, attraverso scarichi e toilettes speciali, magari riutilizzarla per l’irrigazione dei campi; o anche dal sistema di riutilizzo dei rifiuti organici, come le urine, per riutilizzarli come fertilizzanti, fino al recupero dell’acqua piovana, questa utilizzata anche dai privati per l’irrigazione del proprio giardino, se ne posseggono uno.
Tutto o quasi si realizza attraverso quel grande medium che è la domotica, ormai da anni in pole position per quel che riguarda l’offerta di un valido sostegno all’ecologia e all’architettura sostenibile. Non solo un tecnicismo per esperti dunque, ma un modo di pensare e di (con)vivere che dalle istituzioni è rapidamente passato ai singoli (come si è potuto constatare passando rapidamente in rassegna la storia di Linz e Solar City) e da questi si estende all’intera comunità. Di fatti, anche grazie alle sue dimensioni non proprio megalopoliche, tutto a Solar City, e quindi anche a Linz, è facilmente raggiungibile o con mezzi elettrici di cui dispone la città o con la bici, seguendo l’organizzatissimo percorso ciclabile. Di macchine, va da sé, neanche a parlarne e sono pressoché bandite nel centro abitato vero e proprio di SolarCity, emblema di sostenibilità e progresso.
M. Flaminia Attanasio
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