Da quando i dispositivi dell’home entertainment (TV,VCR,DVD) hanno iniziato a moltiplicarsi, si è assistito a un parallelo proliferare di telecomandi e sistemi di connesione e controllo. Chi non ha mai avuto problemi a collegare un nuovo device in un ambiente domestico già popolato di altri apparecchi? Intorno a questa domanda Sergio Paolantonio, studente dell’Interaction Design Institute di Ivrea ha sviluppato una tesi di Interaction design, progettando telecomandi per ambienti wireless.
L’autore, utilizzando una metodologia di progettazione “user centered”, ha osservato e intervistato utenti di età diverse, con differenti livelli di confidenza con i sistemi elettronici. L’interesse era focalizzato sul contesto d’utilizzo degli apparecchi, sulle effettive abitudini di fruizione degli utenti e sui loro bisogni diretti e desideri latenti. La difficoltà di connettere, e gestire i dispositivi elettronici era il comune denominatore.
Per elaborare un prodotto che rispondesse alle domande di semplificazione delle interfacce si è utilizzata una metodologia non incentrata sul marketing, ma bensì sull’utente. I metodi di progettazione, User Centred (cioè incentrata sull’utente) si differenziano dai normali processi di progettazione di disegno industriale sotto vari aspetti.
Se da un lato il disegno industriale tradizionale si concentra sulla funzionalità del prodotto e sul suo aspetto di oggetto, tramite un approccio metodologico l’interaction design pone l’accento su un altro tipo di presupposto: progettare la tecnologia al servizio della qualità della vita umana. Un oggetto in cui vi sia un dispositivo computerizzato, infatti, non soltanto deve funzionare a dovere e avere un aspetto gradevole: deve anche e soprattutto essere progettato in modo tale che l’interazione, lo scambio delle informazioni e la comunicazione siano chiare, efficaci e rispondano a reali desideri e necessità. L’esperienza e’ il parametro per la valutazione del risultato in modo da migliorare la qualità della vita quotidiana.
L’interaction design come disciplina prende a prestito la teoria e la tecnica dal design tradizionale affiancandolo ad approcci teorici e prassi proprie di altre discipline. Si tratta di una sintesi “gestaltica” di procedure e metodi unici, di un approccio progettuale per definire manufatti, ambienti e sistemi. L’interaction design è volto pertanto a esplorare il dialogo tra i prodotti, le persone e i contesti (fisici, culturali, storici); ad anticipare in che modo l’uso dei prodotti influenzerà la comprensione umana; a definire la forma dei prodotti in relazione al loro comportamento e utilizzo.
La fase di ricerca e di sviluppo dei prototipi si è articolata durante il corso del 2003. In prima istanze sono stati inviduati degli utenti di riferimento e sottoposti a successive analisi. Gli utenti sono stati filmati, fotografati ed intervistati ripetutamente, dapprima durante l’utilizzo dei normali dispositivi e successivamente nell’utilizzo dei prototipi da noi creati.
Alcune realtà considerate “estreme” sono state utilizzate per definire modelli di riferimento alternativi per la progettazione. Una famiglia che possedeva 24 differenti devices e relativi telecomandi rappresentava una possibile opportunità per poter sviluppare ipotesi totalemnte innovative per il controllo domestico. Al contrario persone con una ridotta confidenza con i dispositivi digitali sono stati utilizzati come imput progettuale per ulteriori ipotesi. Questi utenti per esempio si rifiutavano a priori di utilizzare qualsiasi forma di telecomando addizionale o differente da quello a loro familiare..
La ricerca sviluppata durante 8 mesi ha prodotto tre prototipi di telecomandi capaci di fornire soluzioni a differenti problemi di interazione. Per lo sviluppo dei prototipi sono stati analizzati gli attuali strumenti di controllo della “casa intelligente” e gli attuali sistemi per interagire con essi. Da ciò è emerso che i “bottoni” e le interfacce “touch screen” sono le uniche interfacce attualmente utilizzate da dispositivi in commercio.
Parallelamente l’overloading di bottoni è il maggiore fattore di insoddisfazione da parte dell’utente medio.
Inoltre l’attuale scenario punta a collegare e a fare comunicare la maggior parte di devices presenti nella casa. Questo porta ad un inevitabile aumento di funzioni e relativa complessità. Parallelamente lo scenario domenstico è caratterizzato da persone con una bassa familiarità con i devices digitali che chiedono una riduzione della complessità (massaie, persone anziane, bambini).
I progetti presentati sono tre:
– Il primo, “Egg”, si presenta formalmente con una forma che puo’ ricordare un uovo e adotta come modalità di interazione il gesto. Ruotando la mano mentre si impugna il telecomando si può modificare il volume, modificando il gesto e rotando con un azione piu’ veloce si può cambiare canale.
– Il secondo prototipo presentato, “Brick”, utilizza la metafora dei mattoni “LEGO” per permettere connessioni.
Immaginiamo di avere un ambiante wireless e di voler collegare il dvd presente in salone con il televisore presente in cucina. Avere un interfaccia tangibile composta di oggetti può semplificare il processo di connessione e di controllo degli elementi connessi.
La combinazione del “mattone” videoregistratore con il “mattone” televisore, ad esempio, accende il videoregistratore stesso e governa il video. Inoltre la forma e il design degli oggetti permette la connessione solo di alcuni elementi del sistema. Delegando la sintassi della connessione alla forma e al colore degli oggetti.
Da quando i dispositivi dell’home entertainment (TV,VCR,DVD) hanno iniziato a moltiplicarsi, si è assistito a un parallelo proliferare di telecomandi e sistemi di connesione e controllo. Chi non ha mai avuto problemi a collegare un nuovo device in un ambiente domestico già popolato di altri apparecchi? Intorno a questa domanda Sergio Paolantonio, studente dell’Interaction Design Institute di Ivrea ha sviluppato una tesi di Interaction design, progettando telecomandi per ambienti wireless.
L’autore, utilizzando una metodologia di progettazione “user centered”, ha osservato e intervistato utenti di età diverse, con differenti livelli di confidenza con i sistemi elettronici. L’interesse era focalizzato sul contesto d’utilizzo degli apparecchi, sulle effettive abitudini di fruizione degli utenti e sui loro bisogni diretti e desideri latenti. La difficoltà di connettere, e gestire i dispositivi elettronici era il comune denominatore.
Per elaborare un prodotto che rispondesse alle domande di semplificazione delle interfacce si è utilizzata una metodologia non incentrata sul marketing, ma bensì sull’utente. I metodi di progettazione, User Centred (cioè incentrata sull’utente) si differenziano dai normali processi di progettazione di disegno industriale sotto vari aspetti.
Se da un lato il disegno industriale tradizionale si concentra sulla funzionalità del prodotto e sul suo aspetto di oggetto, tramite un approccio metodologico l’interaction design pone l’accento su un altro tipo di presupposto: progettare la tecnologia al servizio della qualità della vita umana. Un oggetto in cui vi sia un dispositivo computerizzato, infatti, non soltanto deve funzionare a dovere e avere un aspetto gradevole: deve anche e soprattutto essere progettato in modo tale che l’interazione, lo scambio delle informazioni e la comunicazione siano chiare, efficaci e rispondano a reali desideri e necessità. L’esperienza e’ il parametro per la valutazione del risultato in modo da migliorare la qualità della vita quotidiana.
L’interaction design come disciplina prende a prestito la teoria e la tecnica dal design tradizionale affiancandolo ad approcci teorici e prassi proprie di altre discipline. Si tratta di una sintesi “gestaltica” di procedure e metodi unici, di un approccio progettuale per definire manufatti, ambienti e sistemi. L’interaction design è volto pertanto a esplorare il dialogo tra i prodotti, le persone e i contesti (fisici, culturali, storici); ad anticipare in che modo l’uso dei prodotti influenzerà la comprensione umana; a definire la forma dei prodotti in relazione al loro comportamento e utilizzo.
La fase di ricerca e di sviluppo dei prototipi si è articolata durante il corso del 2003. In prima istanze sono stati inviduati degli utenti di riferimento e sottoposti a successive analisi. Gli utenti sono stati filmati, fotografati ed intervistati ripetutamente, dapprima durante l’utilizzo dei normali dispositivi e successivamente nell’utilizzo dei prototipi da noi creati.
Alcune realtà considerate “estreme” sono state utilizzate per definire modelli di riferimento alternativi per la progettazione. Una famiglia che possedeva 24 differenti devices e relativi telecomandi rappresentava una possibile opportunità per poter sviluppare ipotesi totalemnte innovative per il controllo domestico. Al contrario persone con una ridotta confidenza con i dispositivi digitali sono stati utilizzati come imput progettuale per ulteriori ipotesi. Questi utenti per esempio si rifiutavano a priori di utilizzare qualsiasi forma di telecomando addizionale o differente da quello a loro familiare..
La ricerca sviluppata durante 8 mesi ha prodotto tre prototipi di telecomandi capaci di fornire soluzioni a differenti problemi di interazione. Per lo sviluppo dei prototipi sono stati analizzati gli attuali strumenti di controllo della “casa intelligente” e gli attuali sistemi per interagire con essi. Da ciò è emerso che i “bottoni” e le interfacce “touch screen” sono le uniche interfacce attualmente utilizzate da dispositivi in commercio.
Parallelamente l’overloading di bottoni è il maggiore fattore di insoddisfazione da parte dell’utente medio.
Inoltre l’attuale scenario punta a collegare e a fare comunicare la maggior parte di devices presenti nella casa. Questo porta ad un inevitabile aumento di funzioni e relativa complessità. Parallelamente lo scenario domenstico è caratterizzato da persone con una bassa familiarità con i devices digitali che chiedono una riduzione della complessità (massaie, persone anziane, bambini).
I progetti presentati sono tre:
– Il primo, “Egg”, si presenta formalmente con una forma che puo’ ricordare un uovo e adotta come modalità di interazione il gesto. Ruotando la mano mentre si impugna il telecomando si può modificare il volume, modificando il gesto e rotando con un azione piu’ veloce si può cambiare canale.
– Il secondo prototipo presentato, “Brick”, utilizza la metafora dei mattoni “LEGO” per permettere connessioni.
Immaginiamo di avere un ambiante wireless e di voler collegare il dvd presente in salone con il televisore presente in cucina. Avere un interfaccia tangibile composta di oggetti può semplificare il processo di connessione e di controllo degli elementi connessi.
La combinazione del “mattone” videoregistratore con il “mattone” televisore, ad esempio, accende il videoregistratore stesso e governa il video. Inoltre la forma e il design degli oggetti permette la connessione solo di alcuni elementi del sistema. Delegando la sintassi della connessione alla forma e al colore degli oggetti.
Il terzo prototipo “Cube”, mostra un’interfaccia utente su uno schermo di piccole dimensioni. L’interazione è definita attraverso l’atto di scuotere il piccolo cubo. l’azione di agitare l’oggetto seleziona, a rotazione, i dispositivi diversi presenti nella stanza, mostrando sull’interfaccia solo le funzioni primarie del device.
I prototipi funzionanti impiegano un microcontroller, sensori tattili, pulsanti, radiotrasmettitori RF e strumenti meccanici per generare feedback tattile. Semplici test di usabilità sono stati condotti su prototipi cartacei, su interfacce software e successivamente su prototipi elettronici.
I telecomandi proposti sono progettati per il mercato di massa, mirati a produrre un’interazione più semplice e per innovare un dispositivo che è già presente nelle nostre case. Il progetto appartiene alla tipologia dei “telecomandi universali”, sostituendo alcuni pulsanti di controllo e semplificandoli con gesti quali lo scuotere e il ruotare.
Test di usabilità interattivi focalizzati sul problema della complessità dei telecomandi potrebbero misurare le potenzialità di accettazione da parte dei mercati.
La ricerca è stata sviluppata da Sergio Paolantonio presso l’Interaction Design Institute di Ivrea, in collaborazione con Hitachi design centre Milan. E’ stata premiata con la Targa bonetto premio Smau durante l’ultima edizione 2003.
L’Interaction Design Institute Ivrea è un’associazione indipendente presieduta dal Sen. Franco Debenedetti fondata da Telecom Italia e Olivetti, oggi parte del Progetto Italia di Telecom Italia. L’Istituto, che ha sede a Ivrea, gestisce il corso biennale del Master in Interaction Design destinato a laureati in design, architettura, scienze della comunicazione, informatica o psicologia, provenienti da tutti i paesi del mondo. Si accede tramite selezione e in alcuni casi meritevole l’Istituto prevede l’assegnazione di borse di studio.
L’Istituto, diretto dalla Prof.ssa Gillian Crampton Smith, si propone come un centro culturale che promuove l’approfondimento e la diffusone del sapere e del know-how nel settore dell’interaction design, attraverso il Master biennale e l’elaborazione di innovation projects sia autonomi che in partnership con aziende italiane ed estere. La cultura dell’interaction design è nata originariamente in California, nella Silicon Valley, da qui si diffonde, collegandosi al patrimonio culturale italiano nel contesto europeo, interpretandone, tendenze attuali del design, dell’innovazione e dello stile di vita. Il risultato di questo processo diviene una fusione in cui emergono i tratti tipicamente italiani di studi di design per prodotti e servizi di comunicazione.
Per maggiori informazioni:
www.coroflot.com/spaolantonio/profile